“Io odio il tennis”.
Questa è una delle prime frasi che Andre Agassi, tennista di fama mondiale vincitore di otto tornei del grande Slam, e unico ad aver vinto un Golden Slam, scrive nel suo libro, “Open. La mia storia”, edito nel 2009 e subito diventato famosissimo per la sincerità con cui racconta la sua storia.
Ma cosa sta pensando Agassi? Che tipo di odio è questo? Può un uomo che ha dedicato praticamente tutta la sua vita al tennis dire e ripetere più e più volte che odia la racchetta?
Sì, può, e Agassi odia il tennis da sempre, fin da quando ha iniziato. Ma lo precisa subito, si tratta di un odio con una passione oscura e segreta, tanto che fin dall’inizio possiamo incontrare questo altalenarsi di “non vedo l’ora che finisca tutto” con “non sono pronto a smettere”. Si può vivere di sport così?
Molti di noi si alzerebbero subito in piedi con un “No” bello forte, ricordando che lo sport dev’essere un piacere, soprattutto agli inizi, e che se poi diventa anche un lavoro ben venga. Ma è importante che piaccia e che si abbia facoltà di scelta.
Lui no. Lui racconta di non aver avuto scelta. Costretto dal padre, si è allenato ore ed ore nel giardino di casa o nel circolo della sua città, odiando sempre più questo sport, fino al momento in cui è andato in un istituto per “piccoli campioni” del tennis. Non ha avuto scelta. Anche perché insieme all’odio per il tennis, è nata la voglia di superarlo, di non essere visto come un perdente. Non poteva sbagliare apposta, e non solo per suo padre, ma anche per se stesso. Così ha continuato. Con quel misto di gioia e odio che gli ha causato molti, troppi problemi durante la sua carriera: sregolatezze, partite perse già prima di iniziarle…
Egli racconta molto bene alcuni suoi match clou, ricordando quasi perfettamente i suoi pensieri. E noi possiamo ben capire perché da alcuni ne sia uscito vincitore e da altri no, i suoi scatti nervosi o i suoi gesti plateali. La mente, questa grande amica/nemica. È lei che muove tutto: la nostra grinta, la nostra voglia di fare, o di non fare, il nervosismo e gli scatti d’ira, o una volèe perfetta. Parte tutto dalla nostra testa: se la nostra mente sta bene ed è collegata al corpo, allora riusciremo a condurre il nostro match al meglio. Ma se è confusa, stanca, se siamo consapevoli di non voler essere lì, allora non c’è nulla da fare: black out.
Agassi, nonostante la sua confusione mentale e quel suo odio profondo per il tennis, è comunque riuscito ad essere un campione, questo è vero. Si è circondato di collaboratori seri e affidabili, persone su cui contare. Ma a che prezzo? Ne vale davvero la pena?
Ad ognuno la propria risposta. Per iniziare, però, ricordiamoci l’importanza dell’imparare a gestire le emozioni che scaturiscono dal nostro sport, qualunque esso sia. Gli allenatori possono aiutarvi, ma se ciò non bastasse avvaletevi di uno psicologo che lavora principalmente nello sport. Le tecniche sono tante, e insieme riuscirete a trovare quella più adatta a voi e alle nostre esigenze: concentrazione, rabbia, attenzione, cooperazione, dolore, obiettivi… Tutto è gestibile, proprio perché la nostra mente, come il nostro corpo, è allenabile.
Parliamo di positività e sport insieme. Ditemi cosa ne pensate.
E se vi ho incuriosito con la storia di Agassi, è il momento di acquistare e leggere il libro!
dott.ssa Deborah Landa
Da sempre amante dello sport, ho una naturale inclinazione verso gli sport acquatici.
Contattami ora per una consulenza gratuita.
Contattami
Latest posts by dott.ssa Deborah Landa (see all)
- Sport e azienda: mondi vicini o lontani? - 2 Novembre 2022
- Genitori e sport: educare a vincere o a essere vincenti? - 2 Novembre 2022
- Cosa significa essere genitore di uno sportivo? - 22 Ottobre 2022