Le motivazioni psicologiche all’immersione subacquea.
Partiamo subito da una premessa: nel mio cuore, sono di parte. Non esiste qualcosa di più bello e un’esperienza più rilassante di un’immersione subacquea, secondo il mio punto di vista. E dopo un po’ di tempo di inattività, ritornare sul fondale e tra i pesci è stata l’emozione più importante di questa mia estate appena conclusa.
Nonostante la brutta vicenda accorsa a tre miei colleghi a poche centinaia di metri da dove mi stavo immergendo io, per me la subacquea rimane uno sport estremamente affascinante.
E qui lo so (soprattutto dopo certi avvenimenti, di cui magari parleremo in seguito) che la domanda che sorge spontanea è: “Ma chi te lo fa fare?”
Insomma, stiamo parlando di gruppi di persone che sotto un sole cocente si vestono con fatica di una muta in neoprene (tra l’altro, più si è sudati più è faticoso infilarsela) che li copre completamente accaldandoli e si appiccica come un guanto, si caricano di pinne, maschera, jacket e pesanti bombole che sistemano su un gommone e partono verso il largo. Perché fare tutta questa fatica, soprattutto in vacanza? Ma poi, cosa spinge una persona ad avvicinarsi al mondo della subacquea?
Io una mia risposta personale ve l’ho data, ora parliamo in modo un po’ più oggettivo (se non addirittura scientifico!).
Entrare nel mondo sottomarino, oltrepassando il confine tra aria ed acqua, consente innanzitutto al subacqueo di provare l’esperienza di essere in un altro mondo. Un mondo di isolamento, ma anche di socialità. Ma come li possiamo coniugare?
Si può pensare che un individuo scelga di intraprendere l’attività subacquea spinto dal desiderio di far parte di un gruppo “speciale”, un élite che sfida le leggi della natura. Questo può essere vero se si guarda indietro di qualche anno, quando la subacquea non era aperta a chiunque desiderasse praticarla, ma solo a pochi individui particolarmente dotati o allenati, che vivevano in città di mare e si immergevano in solitudine.
Oggi la situazione è cambiata: la tecnologia ha ridotto al minimo lo sforzo necessario per intraprendere un’immersione ricreativa in sicurezza, e ha aperto la subacquea a differenti tipi di praticanti, non necessariamente in perfetta forma fisica o che vivono in città non costiere (la mia Torino dista dal mare qualche centinaio di km!). Inoltre la proliferazione stessa delle didattiche autorizzate a rilasciare i brevetti ha innescato un particolare processo di affiliazione alle stesse, con simboli quali stemmi, magliette e adesivi col logo della propria didattica e, in forma ancora più stretta, del proprio gruppo di appartenenza. Insomma, si è trasformata in un fenomeno sociale.
Abbiamo però detto che la subacquea è anche isolamento. Ma dove trovarlo, se per sicurezza bisogna immergersi in gruppo? In acqua, perché il subacqueo ha sì il dovere di prestare attenzione al suo compagno e comunicare costantemente con lui, ma ancora più attentamente deve pensare a se stesso e a ciò che il suo corpo gli comunica. L’interazione col compagno si limita ai gesti fondamentali e tecnici concordati in superficie, tutto il resto è un costante dialogo tra sé.
Le motivazioni che possono spingere un individuo ad intraprendere l’attività subacquea possono essere anche personali, legate alla propria personalità o alle proprie disposizioni psichiche: tra queste, il narcisismo e la competitività, la trasgressione e la ribellione e la disposizione del subacqueo nei confronti della profondità sono le principali.
Nella subacquea il narcisismo è evidente in quei sommozzatori che “sfidano l’impossibile”, immergendosi a profondità elevate. Una personalità narcisistica molto probabilmente si avvicinerà maggiormente alla subacquea tecnica, in quanto ancora attività d’élite rispetto alla più comune subacquea ricreativa, e cercherà di primeggiare sui propri compagni.
Ma dove troviamo la competizione? Partendo dal presupposto che essa è insita in ogni individuo, nella subacquea essa si manifesta non tramite un punteggio o un traguardo, ma in numeri: il confronto del tempo di immersione, della profondità raggiunta o della quantità d’aria residua. L’agonismo di un subacqueo è atipico ed è rivolto tra l’altro più alla natura circostante che ad un suo avversario.
Il subacqueo è sovente anche un anticonformista, e in effetti diversi autori (Capodieci, 2002; Venza et al., 2006) evidenziano come la subacquea sia anche ribellione: l’individuo praticando questo sport si erge contro le leggi della natura, seppure per un tempo limitato, e tramite le sensazioni di isolamento che provoca in immersione riesce ad estraniarsi dalla società in cui vive.
Non dimentichiamoci però dell’aspetto educativo della subacquea: l’esperienza dell’incontro con l’ambiente subacqueo può determinare l’ampliamento del proprio spettro esperienziale e, potenzialmente, della propria flessibilità mentale e della creatività, perché obbliga ad interagire con l’ambiente secondo regole insolite rispetto a quelle cui siamo abituati e permette di vivere una dimensione corporea ed ambientale nuova rispetto a quella che si prova in superficie. Attraverso la permanenza in un ambiente così diverso impariamo a collaborare, a responsabilizzarci e a capire le sensazioni e le emozioni che il nostro corpo ci comunica.
Infine, la profondità. Una tematica che può risultare scontato affrontare, ma non è così. La velocità con cui si può conquistare un brevetto per immergersi a modeste profondità ha portato ad un aumento delle richieste di praticare l’attività subacquea proprio da quegli individui che temono il mare o la profondità e vogliono fare di questa esperienza una sorta di cura.
Una cura però non spesso semplice da portare avanti, e per questo ho pronti per voi dei corsi di gestione dell’ansia dovuta proprio a tutte le criticità che si possono trovare in questo sport: partendo dalla primitiva paura dell’acqua, passiamo per la sensazione di mancanza d’aria, della dipendenza dall’erogatore, e arriviamo alla profondità. Ovviamente tutto ciò nell’ambiente acquatico, che diventerà il vostro nuovo amico. Parlatene col vostro istruttore per metterci d’accordo sulle modalità!
Esiste poi la profondità vista come un bisogno di sfidarsi, sentirsi capaci, legato principalmente alla subacquea tecnica.
A questo punto, la palla (anzi, la pinna) è nelle vostre mani: amate la profondità o volete iniziare a sfidarla? Vi siete incuriositi? E quelle persone che fanno tanta fatica per star sott’acqua una mezz’ora… perché lo fanno? Trovate le vostre risposte e parliamone!
dott.ssa Deborah Landa
Da sempre amante dello sport, ho una naturale inclinazione verso gli sport acquatici.
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